Siamo molto di più di come facciamo soldi
Cronaca del mio primo mese da freelance. Cos'è la libertà? Quanta paura abbiamo di cadere?
A giugno sono diventata freelance. Ho colto un’occasione che mi si è presentata e ho preso la decisione che mi ronzava in testa già da un po’: dopo quindici anni di esperienze aziendali, da start-up a corporate, ho chiuso la porta dello stipendio fisso con ferie, tredicesima e quattordicesima, e mi sono intrufolata nel mondo dell’incertezza.
Qui non troverete alcuna retorica sull’importanza di dedicarsi ai propri progetti e ai propri ritmi: sappiamo già tutto, chiunque di noi ormai è un esperto di mindfulness, conosciamo la discrepanza tra quello che ci chiedono le aziende in termini di regole e tempo e quello che potrebbe offrirci una società che rimettesse al centro l’importanza della salute mentale e del nostro equilibrio. Tutto giusto. Ma non è questa la società in cui viviamo, e se non veniamo da un contesto famigliare ricco - o anche, più semplicemente, se non ereditiamo case - la retorica della libertà può essere un veleno molto più potente delle regole aziendali.
E poi, che cos’è la libertà?
Se lo chiedeste a 10 persone diverse, otterreste 10 risposte diverse. Quando leggiamo articoli e post, o guardiamo video in cui ci si sbrodola di dissertazioni pretenziose sulla libertà sessuale, emotiva, sentimentale e lavorativa - come se nell’epoca contemporanea non esistesse altro valore se non quello dell’individuo che rifiuta le norme - qualcosa dentro si muove e ci domanda: ma è proprio questa la liberazione dalle catene? La risposta è no. Ci rende liberi ciò che ci nutre e ci permette di respirare. La libertà può essere fare una passeggiata alle 4 del pomeriggio nella città dove viviamo, senza provare senso di colpa per chi paga il nostro stipendio. Per qualcuno che subisca una manipolazione psicologica, la libertà potrebbe essere togliersi dal giogo. Per una persona che vive in un territorio di guerra, la libertà è smettere di avere paura ogni minuto.
La premessa fondamentale per parlare di libertà è inquadrare il contesto di privilegi nel quale viviamo. Nel mio caso, un’offerta di accordo che mi consente di poter vivere per qualche mese senza l’ansia di rimanere senza soldi. Altrimenti chissà quando (e se) avrei preso una decisione tanto difficile: abbandonare le entrate fisse e i benefit. Per questo dico, attenzione: non sono qui a promuovere i cambiamenti radicali di vita. Sapete già che quando arriva il momento, è giusto avere il coraggio di azzardare. Grazie tante per questa illuminazione di cui ci ingozzate ogni giorno su media e social. Ma quanto costa questo azzardo? Non abbiamo tutti la fortuna di non dover pagare un affitto o un mutuo.
Ansia depressiva, bentornata amica mia
A fine maggio, in prossimità dello scadere del mio contratto, sono scesa nella mia ansia depressiva. Complici una sindrome premestruale e un cambio di temperatura improvviso, mi sono ritrovata accucciata nel letto per una settimana. L’ansia del cambiamento imminente mi ha bloccata. Invece di tachicardia e strozzamento alla gola, ho provato inedia, disorientamento, solitudine, voglia di rifugiarmi nel sonno. Perché il sonno cura, il sonno protegge, il sonno polverizza la realtà almeno per qualche ora.
Ma di cosa avevo paura, davvero?
Di cadere.
Secondo la tesi di Alexander Lowen, psicoterapeuta e psichiatra statunitense che nel 1975 scriveva “Bioenergetica” - libro che mi sta accompagnando in questo periodo - l’ansia di cadere è, probabilmente, un’esperienza esclusivamente umana, perché gli altri quadrupedi, nelle stesse situazioni, non provano ansia. Gli animali provano ansia mentre cadono, gli umani la provano anche quando si trovano su una base solida (forse derivazione di un’epoca in cui vivevamo sugli alberi).
La paura di cadere è una fase di transizione fra l’impasse di essere sospesi a mezz’aria e la nuova condizione di avere i piedi saldamente piantati per terra.
Cadere significa anche disunirsi, cadere in pezzi. Cadere significa paura di fallire. Cadere significa perdere il controllo (falling out).
Senza un job title, come fai a esistere?
In un articolo uscito nel 2023, Joy Batra descriveva la condizione del freelancer attraverso l’angoscia esistenziale che questa domanda può generare.
Diventare freelancer, dopotutto, significa uccidere la parte di sé che considera il lavoro dalle 9 alle 18 come la via maestra verso la sicurezza e lo status sociale. Vuol dire l’addio alla comprensione sociale del tuo ruolo. Ecco la fase più difficile del tuo percorso: la morte della tua vecchia identità e la rinascita di una nuova.
Adesso devi affrontare la sfida più grande: la morte del tuo vecchio io. Arriva il momento in cui senti che la tua identità da lavoro tradizionale non ti rappresenta più. Non riflette più i tuoi bisogni, i tuoi desideri, la tua salute. Ti ritrovi sospeso tra due mondi, il vecchio e il nuovo, e non puoi semplicemente tornare indietro.
Non puoi “disvedere” ciò che hai visto da freelancer; non puoi più ignorare la possibilità di gestire il tuo tempo e lavorare solo ai progetti che ti appassionano. Non puoi tornare al vecchio modo di pensare, eppure la tua nuova forma non si è ancora definita.
La sfida - e il potere - della mentalità freelance sta nel separare la propria identità da ciò che si fa per guadagnarsi da vivere. Siamo molto più di come facciamo soldi. Le nostre anime sono infinitamente più ricche.
Siamo molto di più di come facciamo soldi. Siamo molto di più di come facciamo soldi. Siamo molto di più di come facciamo soldi. Siamo molto di più di come facciamo soldi. Siamo molto di più di come facciamo soldi. Siamo molto di più di come facciamo soldi.
Il lutto per l’identità perduta
Devi affrontare un senso profondo di perdita. E quella perdita genera lutto.
Per alcuni, si tratta della perdita dell’identità professionale - la versione di te che conoscevi e che gli altri vedevano. Per altri, la perdita riguarda la sicurezza economica. Un’altra forma di perdita può riguardare l’identità sociale: potresti non sentirti più parte di una comunità, di un gruppo di riferimento (com’è, ad esempio, il team di lavoro in ufficio con cui prendere il caffè). Infine, c’è la perdita legata all’abbandono di un sogno che non ha funzionato. Tutte queste perdite sono legittime e vanno elaborate prima di poter andare avanti.
Per me è stato un mix di quelle citate.
È una forma di “lutto non riconosciuto”, perché il mondo esterno spesso non considera legittime queste perdite, e soffrire per qualcosa che un tempo consideravi banale può creare confusione in testa.
Se senti di aver perso qualcosa nel passaggio da un lavoro tradizionale al freelance, quel dolore è valido. Hai tutto il diritto di elaborare il lutto.
Anche Rosalìa a giugno ha parlato di fallimento.
Il rapporto tra fallimento e sonno
La parola fallire ha origini latine. Deriva dal verbo fallĕre, che significa ingannare, deludere, venire meno (es. fides fallitur, la fiducia è tradita).
Interessante notare come l’origine implichi delusione o disillusione più che colpa: fallire nasce dal non riuscire a mantenere una promessa, anche verso se stessi. È quindi un verbo che ha a che fare con la fragilità dell’attesa, e con la possibilità che qualcosa vada diversamente da come sperato.
Nonostante le origini etimologiche siano diverse, c’è un’assonanza tra fallire e il verbo inglese to fall.
Falling asleep: cadere nel sonno.
Falling in love: innamorarsi.
Falling apart: cadere in pezzi.
Falling through time: perdersi nel tempo.
Tornando a Lowen, si parla anche del passaggio veglia-sonno.
In che modo il passaggio dalla veglia al sonno assomiglia all’atto di cadere? Se c’è un parallelo fra le due cose a livello corporeo, allora possiamo capire perché tanta gente abbia difficoltà ad addormentarsi e abbia bisogno di un sedativo per smorzare l’ansia e facilitare il passaggio dalla coscienza allo stato incosciente.
Sprofondare nel sonno, rinunciare alla veglia
E se la mia paura fosse la stessa che l’inconscio prova quando passa da uno stato di veglia - intesa simbolicamente come lo stare all’interno di un chiaro sistema di regole sociali, rigide e alienanti, ma anche protettive e condivise insieme a un gruppo - a uno stato di sonno - la scoperta di un mondo confuso e incoerente, dove ogni forma si sfalda, ma in cui, proprio per questo, è possibile finalmente desiderare, esprimersi, trasformarsi?
Si “sprofonda nel sonno” quando il corpo diventa pesante, le palpebre di piombo, compare il desiderio di sdraiarsi e abbandonare la lotta contro la forza di gravità. Il diaframma si rilassa, la qualità e il ritmo del respiro cambiano.
Che cos’è, metaforicamente, la forza di gravità, se non quella pressione dall’alto che ci costringe a contrapporre una forza uguale e contraria per rimanere in piedi, saldi, dritti, con gli occhi che incontrano gli occhi degli altri, al sicuro dalle cadute?
Più ci spingete verso il dirupo, più troveremo la forza di non cedere. Più ci farete credere che sia normale regalare metà di ogni nostra giornata, 3/4 di ogni nostra settimana, e 2/3 di un mese a un’azienda che genera profitto, più lavoreremo per rimanere a galla. Più definirete la nostra vita come gli “interni” di Severance, più ci illuderemo di essere tutto sommato felici dei nostri privilegi da dipendenti a tempo indeterminato. Senza questa forza di gravità, galleggeremmo nell’aria come foglie al vento, senza ordine, senza certezze, senza forzature. Vivremmo come adulti, invece che come quegli adolescenti a scuola che vengono rimproverati se non stanno attenti alla lezione, penalizzati se fanno forca con gli amici, rimandati a settembre se non si sono impegnati abbastanza.
Ed è così che i dipendenti sono inquadrati nelle aziende.
Dice Lowen:
Tra le forze naturali che creano stress la più universale è la gravità [...] Quella di cadere o di accasciarsi è una difesa naturale contro il pericolo rappresentato da uno stress continuo.
Tutto sommato, la mia paura oggi, forse, è quella di fallire nella mia scelta e ritrovarmi, un giorno, a mettere di nuovo in discussione i miei desideri.
Grazie di queste parole. Anche se da lavoratore dipendente mi ci ritrovo moltissimo e credo che molt* altr* possano dire lo stesso.
Non scopro niente di nuovo, ma leggere di questo tipo di esperienze e delle considerazioni che ne seguono ha il potere di farci sentire meno sol*.